Nell’attuale contesto competitivo, segnato da una sempre più netta rilevanza delle leve strategiche legate alle competenze umane, tecnologiche ed organizzative, le PMI si trovano in una situazione sfavorevole e, a volte, difficile. È infatti noto il legame, spesso il cordone ombelicale, che lega queste realtà, non di rado molto interessanti e profittevoli, con l’imprenditore o il gruppo famigliare-titolare. Tale legame, un tempo (e, a volte, ancora) fonte di una capacità di risposta-adattamento rapida ed efficace, è ora messo a dura prova dalla crescente complessità, trasversalità ed interdipendenza delle strategie che le aziende medesime sono chiamate ad individuare ed eseguire al fine di mantenere viva l’attuale, o prossima futura, capacità di competere.
Ma quali possono essere le iniziative da compiere per incamminarsi su un sentiero virtuoso che consenta all’azienda famigliare di esprimere appieno le potenzialità che spesso possiede, cogliendo le grandi opportunità che il periodo attuale offre e limitando i rischi che, indubbiamente, esso stesso comporta?
Iniziamo questo viaggio partendo dall’elemento fondamentale che compone qualsiasi organizzazione: l’individuo.
Indice dei contenuti
L’individuo e le sue rigidità
Il nucleo della questione, come suggerito dal titolo di questo spunto di discussione , è comprendere innanzitutto come l’individuo agisca, quali conseguenze i suoi limiti, i suoi pregi e le sue rigidità (2) possono comportare. Nel caso specifico della piccola media azienda, caratterizzata da uno sviluppo organizzativo limitato, da bassa rotazione del personale e, comparativamente, da uno scarso apporto di contributi esterni, l’individuo-imprenditore ha giocato e gioca un ruolo talmente essenziale che, molto spesso, l’azienda gli “assomiglia”, ovvero ne presenta i pregi ma anche i difetti. Il primo punto da prendere in considerazione è dunque quello delle rigidità che, spesso, l’individuo, sia esso l’imprenditore, sia esso un dipendente o un’altro portatore d’interesse, introduce e mantiene nell’area che presiede.
Razionalità limitata e metodi euristici di giudizio
Ogni individuo, come importanti studi passati e recenti dimostrano , tende ad operare in modo non perfettamente razionale, in un regime definibile come “razionalità limitata (3)” .
I fattori che, principalmente, limitano la razionalità dell’individuo sono:
- La disponibilità di informazioni (troppo poche / troppe)
- Le limitazioni cognitive che gli sono proprie (culturali, logiche, esperienziali)
- La quantità finita di tempo a disposizione per operare scelte
Per by-passare queste limitazioni tuttavia, la mente umana ha sviluppato, nei secoli di sviluppo cognitivo del nostro cervello, dei metodi euristici, ovvero atti ad aiutare sé stessi nell’apprendere/risolvere autonomamente il problema valutativo; potremmo definirli degli stratagemmi inconsci che supportano ed ottimizzano la capacità di scegliere rapidamente e con uno sforzo relativamente basso (anche in termini di consumo energetico, visto che il cervello è l’organo che comparativamente consuma più energia nel nostro corpo).Tra di essi citiamo:
Anchoring
Ovvero ”ancoraggio”; il termine indice che, quando l’individuo non dispone di informazioni rilevanti su un fatto, su una situazione che deve valutare, tende a decidere sulla base di un’informazione “vicina” disponibile, una “next-best solution”, anche se questo, alle volte, può condurre ad avere un riferimento del tutto arbitrario nel giudizio che esercita .
Disponibilità
L’individuo tende ad assegnare maggiore probabilità, in modo non del tutto razionale, alle informazioni che ricorda in modo più vivo, più netto, magari perché da poco apprese e quindi disponibili in modo diretto e pronto alla sua memoria2.
Rappresentazione
L’individuo sviluppa delle modalità determinate, a volte degli stereotipi, per categorizzare le informazioni, azione necessaria per una loro rapida indicizzazione e per il richiamo alla memoria; tuttavia questo, soprattutto in un’ottica di business genera dei modelli mentali rigidi. Torneremo sul punto più tardi.
Mental biases
Se da un lato, dunque, i tre metodi sopra brevemente descritti sono d’aiuto per operare scelte con rapidità ed efficienza, dall’altro, evidentemente, esse generano dei “mental biases”, delle inconsce “inclinazioni”, delle “distorsioni ” che influenzano l’attività di scelta (4).
Quali sono queste distorsioni ? Come le possiamo descrivere in breve?
Disposizione
il modo in cui le informazioni e le scelte sono disposte e presentate influenza il giudizio della persona.
Questo è spiegato dal fatto che le persone tendono ad essere passive, ovvero a mantenere un basso livello di attenzione , per questo le modalità espositive, mettendo in risalto o sviluppando percorsi pre-determinati, possono influire sulla scelta finale (5).
Ottimismo
in situazioni nuove, dove l’individuo non dispone di informazioni storiche, vi può essere una ridotta capacità di stimare il rischio.
Si pensi alla ridotta capacità di percepire il rischio competitivo indiretto, ovvero derivante da prodotti/servizi non presenti storicamente nell’arena competitiva dell’azienda. Questo si ricollega alla ridotta percezione della necessità di cambiare che, spesso, è fisicamente avvertibile all’interno di alcune organizzazioni o, confrontandosi con i loro leaders.
Avversione alla perdita
in situazioni già caratterizzate da un investimento, l’individuo difficilmente cambia idea, sebbene vi siano alternative più profittevoli, se deve mettere a rischio l’investimento fatto.
Si tratta di esperimenti effettuati su larga scala, l’individuo non mette a rischio 100 anche se ha elevata possibilità di guadagnare 180. Questo conduce, in termini di business, ad inerzia organizzativa: “quello che va bene non si cambia” anche se, magari… ci sono grandi opportunità da cogliere!
Status quo
l’individuo tende a “mantenere la posizione”.
L’individuo tende a rifiutare il cambiamento in quanto esso introduce una necessità di attenzione che, a volte, è in sé un problema (più o meno inconscio).
Occorre contrastare i Bias Cognitivi nell’organizzazione aziendale?
È evidente che i comportamenti sopra descritti sono insiti nella mente umana e, come visto, hanno finalità positive. In un’ottica aziendale, tuttavia, e, in specifico, parlando di strategia organizzativa, si possono (e devono) sviluppare metodologie ed adottare correttivi che contrastino gli aspetti negativi che queste distorsioni introducono, al fine di disporre di un sistema decisionale valutativo-esecutivo equilibrato.
Alcune strategie di contrasto
Contrasto al mental bias definito “ottimismo”: è importante al fine di migliorare la capacità percettiva del rischio e dello stato dell’organizzazione introdurre, a favore dei decisori fondamentali presenti nell’organizzazione
- Elementi di visione esterna: per esempio dando all’advisory board il compito di effettuare la raccolta e presentazione di questi elementi nuovi di cui tenere conto, oppure, per aziende di minori dimensioni, introducendo consulenti ed esperti di settore per un corroborante “ricambio d’aria”
- Dati esterni: è importante il confronto con dati, anche quantitativi, ma non solo, che rappresentino in modo adeguato il contesto al gruppo dirigente, al fine di comprendere le dinamiche competitive che stanno impattando sul settore
Contrasto al mental bias definito “avversione al rischio”: è fondamentale, soprattutto laddove vi siano sistemi di valutazione ed incentivazione strutturati e/o con riferimento a ruoli in cui autonomia e creatività sono rilevanti, che non si penalizzino in modo sproporzionato specifiche scelte individuali, diversamente ci si troverà in una situazione in cui le scelte saranno effettuate privilegiando criteri storici, per ridurre al massimo il rischio di errore (il che tuttavia ridurrà la capacità di innovare ed affrontare rischi calcolati da parte dell’azienda nel suo complesso)
Contrasto al mental bias definito Status-quo: può essere importante, in taluni momenti, proporre un aproccio in cui l’opzione di default, semplicemente, è al di fuori delle opzioni esercitabili. Questo al fine di stimolare in modo esplicito una riflessione profonda ed una spinta al cambiamento.
Contrasto all’influenze di “modelli mentali” rigidi: è molto importante valutare con attenzione, al fine di ridurre l’impatto che, inevitabilmente i modelli mentali sopra descritti comportano:
- L’implementazione di percorsi formativi strutturati e continui
- L’introduzione nel personale di elementi di diversità in termini culturali e di base formativa
- L’implementazione del concetto di rotazione per favorire la flessibilità
E’ evidente che, soprattutto in contesti poco strutturati e legati a logiche di tipo famigliare, le raccomandazioni sopra descritte trovino un limite naturale nella necessità di mantenere il controllo dell’attività di direzione rigidamente in mano a pochi individui definiti, alle volte, ad un singolo individuo. Ci si può trovare quindi in situazioni per cui il “la spinta al cambiamento” sembra coincidere con la “volontà di rimozione” della figura di riferimento, il che naturalmente tende a porre la questione su basi differenti da quelle aziendali ed a farla scivolare su un terreno difficile e complesso.
Oltre a questo, a volte, le ridotte dimensioni numeriche del personale rendono tale la sovrapposizione dei ruoli e dei poteri, nonché la saturazione delle disponibilità, che risulta complesso creare un modello organizzativo ordinato sul quale esercitare le leve qui accennate e che vedremo in successivi articoli.
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(1):Il presente contributo è tratto, in parte, dal testo “Serial Innovators”, di Claudio Feser, edito da Wiley
(2):questo vale, intuitivamente, ancor di più per organizzazioni dirette da un ristretto gruppo di individui i quali, fra l’altro possiedono relazioni famigliari tra di loro, come nel 99% dei casi succede in ambito di Piccola e media azienda.
(3):Fin dal 1950 Herbert Simon ed altri, osservando come realmente l’individuo agisce, svilupparono un concetto differente dalla perfetta razionalità, che sfocia nel concetto di “bounded rationality” di Simon del 1978 o si veda anche https://www.vita.it/it/article/2017/10/10/spingere-avanti-il-bene-richard-thaler-una-lezione-per-la-societa-civi/144757/
(4):si pensi a quante implicazioni possono avere le due regole qui descritte nei confronti di fruitori attivi si SNS (Social Network Sites), che sono miliardi, con riferimento alla loro capacità di giudizio. Si veda anche:
- https://pdfs.semanticscholar.org/54d0/0310f18ba7fee6b98f95dc40b705d03703fc.pdf
- https://www.theguardian.com/media-network/media-network-blog/2014/may/13/internet-confirmation-bias
- https://education.biu.ac.il/files/education/shared/science-2015-bakshy-1130-2.pdf
- https://theconversation.com/misinformation-and-biases-infect-social-media-both-intentionally-and-accidentally-97148
(5):Si pensi a tutti gli studi sulla User Experience, alla potenza del Material Design propalato da Google (https://design.google/resources/ ) nei confronti degli sviluppatori al fine di generare una “grammatica visiva” uniforme, in rapporto agli utenti sui quali impatta