In questo articolo1 voglio affrontare un tema di estrema rilevanza per organizzazioni di qualsiasi dimensione: la capacità di creare reale innovazione e come essa venga influenzata dai processi aziendali in essere. Ci accorgeremo che, soprattutto per organizzazioni di grande dimensione, spesso non esiste un ecosistema adeguato alla nascita e crescita dell’innovazione, quanto piuttosto allo sfruttamento di precedenti innovazioni o di posizioni dominanti in qualche ambito.
Questa situazione pone un grande interrogativo sulla capacità che, anche queste enormi corporation, hanno di cogliere realmente le opportunità esistenti e, soprattutto, di non collassare di fronte a repentini cambi di paradigma dovuti ad altri innovatori2 ed incumbent.
Può essere interessante notare inoltre che, organizzazioni di dimensioni minori, pur limitate da ridotte economie di scala e da minori livelli di patrimonializzazione, possono contare su una maggiore agilità organizzativa e da minori vincoli esterni3 per affrontare con maggior determinazione e semplicità il cambiamento necessario ad introdurre, al proprio interno, un approccio basato sul Design Thinking, inteso come strumento per supportare una cultura basata sull’innovazione continua e sulla creazione di conoscenza.
Indice dei contenuti
L’imbuto della conoscenza (knowledge funnel)
Con l’espressione “knowledge funnel”, imbuto della conoscenza, possiamo identificare il processo di individuazione e creazione di conoscenza in senso generale. All’interno di questo imbuto, sono individuate tre fasi:
- Il mistero
- La fase euristica
- L’algoritmo
Il mistero, l’ignoto: ovvero il punto da cui tutto ha inizio
Tutto prende avvio dall’esistenza, o meglio dall’individuazione corretta, di una mancanza, di un ostacolo, di un problema che è necessario risolvere per raggiungere un determinato risultato. Gli esempi in ambito Business sono tanti: il perfetto menù per una catena di Hamburger e fast food, la sedia ideale per far lavorare un impiegato o un manager 8 ore, le caratteristiche di un nuovo prodotto di pulizia della casa, etc…
L’individuazione e la definizione del punto di partenza, ovvero del mistero, è di fondamentale importanza per accedere ad un processo corretto che consenta il passaggio alla successiva fase di conoscenza. Per questo è di necessario disporre di informazioni approfondite, non solo quantitative, riferite all’utente finale ed all’esperienza che esso deve trarre dall’uso del prodotto/servizio che verrà, alla fine, a lui venduto.
Un aspetto importante da sottolineare è che, nella definizione e descrizione del problema è necessaria una sensibilità particolare, in grado di evidenziare non solo relazioni quantitative ma, grazie ad approfondimenti personali, anche temi di fondo che i dati numerici non possono veicolare.
La fase euristica: ovvero come intuito ed esperienza aumentano le probabilità di una soluzione
Dopo aver ben individuato il problema, attraverso processi di osservazione, immaginazione, configurazione ed intuizione, cominciano ad essere esplicitate una serie di variabili che influenzano il risultato finale, ovvero che rendono più probabile che esso risulti adeguato ad una situazione desiderata.
Chiamiamo questa fase la fase euristica, intendendo con ciò che, seppur senza alcuna garanzia che percorrendo lo stesso sentiero una seconda volta il medesimo risultato sia raggiunto, è stato possibile determinare una serie di fattori che sono in grado di influenzare il risultato finale in senso positivo.
Come si può comprendere, in questa fase, l’interpretazione dell’individuo è la chiave affinché il processo sia riproducibile con ragionevoli tassi di successo.
Molti processi aziendali sono assolutamente fermi in fase euristica, ovvero sono gestiti da figure che, grazie alle proprie competenze ed esperienze, sono in grado di “gestire” determinate attività, spesso complesse ed anche molto importanti, e condurre ad un risultato migliore, in media. Spesso queste “élites cognitive” occupano posti di assoluta rilevanza in azienda.
L’algoritmo: un sistema di produzione certificato
Il terzo livello, nell’imbuto della conoscenza, è quello definito ”algoritmo”. Un algoritmo è un sistema di produzione indipendente da uno specifico individuo, o gruppo di individui, che garantisce un risultato perfetto, nel 100% dei casi (fino a che non si verifichi un evento inatteso catastrofico, quantomeno). Spesso l’algoritmo è codificato in un linguaggio software ma non per forza è sempre così.
Grandi e piccole aziende, nel tentativo di ridurre il potere delle “Élites cognitive“ (che devono profumatamente remunerare) hanno provato, anche con successo, a creare schemi funzionali standard per eseguire attività complesse come il branding di un prodotto, il lancio di un nuovo servizio o l’integrazione di un’azienda di recente acquisita, visto che si trattava di processi fortemente rilevanti.
Approccio analitico o intuitivo-creativo in azienda?
Sappiamo che, nel lungo periodo, solo organizzazioni in grado di muoversi ciclicamente all’interno dell’imbuto della conoscenza saranno in grado di prosperare e, in ultima analisi, di perdurare. Un elemento di fondamentale importanza da tenere in considerazione, quindi, è quali approcci e quali strumenti culturali occorre mettere in opera per cercare di realizzare questo obiettivo.
Il pensiero analitico
Il pensiero analitico utilizzando cicli ripetuti di deduzione ed induzione logica, conduce ad una definizione dimostrabile e statisticamente supportata di un fenomeno. Esso si fonda sui dati storici di cui l’azienda dispone e sulla loro elaborazione, più o meno raffinata, al fine di ridurre qualsiasi tipo di bias personale nella valutazione e condurre a schemi decisionali certi, che massimizzino la capacità e l’efficienza di sfruttamento dei fattori e che, di contro, tendono a mantenere lo status quo, visto che la loro caratteristica è essere corretti rispetto alle serie storiche aziendali.
Un esempio: “sono 5 anni che, nelle settimane successive a Pasqua, l’azienda Alfa realizza la promozione X, questo conduce ad un aumento di vendite del 5-7% per il periodo considerato e ad una riduzione degli scarti.” Il pensiero analitico inferisce “se la promozione, anche quest’anno, verrà lanciata il risultato di vendite crescerà almeno del 5% nel mese di maggio e giugno”
Il centro del pensiero analitico è l’affidabilità ovvero la capacità di produrre un risultato prevedibile. Esso è il cardine di strategie aziendali basate sull’amministrazione della situazione, sullo sfruttamento di vantaggi competitivi già noti e sull’ipotesi, sbagliata, che essi perdurino per sempre.
Spesso il paradigma del pensiero analitico è alla base di tante attività di ricerca e sviluppo, che, in questo modo dimenticano la “R” e fanno solo lo sviluppo, ovvero l’ottimizzazione, il perfezionamento e miglioramento di quello che già c’è, mentre la ricerca, quella che avrebbe bisogno del “salto logico” manca. Ecco perché, quando gli strumenti ed i processi interni sono radicati in un approccio esclusivamente analitico si crea una vera e propria “trappola per le capacità innovative.”
Un approccio esclusivamente analitico presta il fianco all’obsolescenza aziendale, che si verifica quando i prodotti o i processi o anche le persone risultano inadeguati ad affrontare le sfide del mercato, fuori tempo d’improvviso. A quel punto, spesso, la situazione è esiziale.
Il pensiero creativo-intuitivo
Il pensiero creativo-intuitivo, al contrario del precedente, utilizzando cicli di osservazione → immaginazione → visualizzazione → configurazione ↻, mette in atto un’attività esplorativa, esercita un tentativo di individuazione e decodifica del mistero alla ricerca di un pattern che conduca ad una soluzione valida.
Il processo creativo-intuitivo non si fonda su alcun dato preesistente, non propone nemmeno delle soluzioni riproducibili, ma individua un output ritenuto valido introducendo elementi laterali, secondo una logica abduttiva, che riconosce come più probabile una certa relazione rispetto ad altre all’interno di cicli ripetuti di osservazione ed inizia, da quello, a costruire un nuovo modello.
Un esempio che è diventato un caso di scuola: uno dei problemi del circo, seppur anche parte della sua attrattività, sono sempre stati gli animali. Sono costosi da mantenere, problematici da gestire, culturalmente sempre meno allineati alla sensibilità comune. Come affrontare il problema ?
Un giovane mangiatore di fuoco Canadese, Guy Laliberté, decide di concepire uno spettacolo che non includa gli animali, e che, all’interno di una narrazione coesa e riproducibile, non sfilacciata e erratica come nel circo tradizionale, riporti la magia dell’esperienza circense ai giorni in cui viviamo. Nasce così il Cirque du Soleil, che dopo una complessa fase di avvio, è stato in grado di erogare contemporaneamente decine di spettacoli in 4 continenti e di impiegare migliaia di professionisti, fatturando centinaia a centinaia di milioni di dollari.
Un punto medio tra analisi e creatività
Ma come individuare un approccio equilibrato fra necessità di rigidi processi analitici e importanza di libertà ed esplorazione ? Come è possibile riconciliare questi due mondi ?
Lo scopriremo nel prossimo articolo su creatività, organizzazione e design thinking in azienda